STORIE DAL MONDO – Flavia Morandini, ricercatrice multitasking con la laurea in archeologia

STORIE DAL MONDO – Flavia Morandini, ricercatrice multitasking con la laurea in archeologia

Classe 1981, con una laurea specialistica in archeologia e conservazione dei beni archeologici conseguita nel 2006, Flavia lascia Rovato a 31 anni per trasferisti a Parigi dove, ancora oggi, si occupa di ricerca scientifica nel campo dell’archeologia e della storia antica. E data la precarietà del lavoro da ricercatore, diventa … multitasking; e oggi, quando ne ha la possibilità, fa anche la guida per Parigi, e insegna italiano ai bambini francesi.

Tra i suoi ricordi, resta indelebile la data del 15 aprile 2019.

Sappiamo che hai lasciato Rovato per trasferirti in Francia, destinazione Parigi. Cosa ti ha spinta a prendere questa decisione?

È avvenuto tutto un po’ per caso. Ho seguito un percorso di studi che mi ha appassionata moltissimo, ma che allo stesso tempo presenta difficoltà non indifferenti dal punto di vista degli sbocchi lavorativi. Dopo aver conseguito la laurea specialistica in “Archeologia e conservazione dei beni archeologici” all’Università “Ca’ Foscari” di Venezia, sono entrata alla scuola di specializzazione in archeologia di Milano e, in seguito, sono tornata a Venezia per il dottorato di ricerca in storia antica e archeologia. I miei interessi sono rivolti allo studio dell’Italia preromana, in particolare al mondo etrusco-italico. Dopo il dottorato mi sono resa conto che se avessi voluto continuare, avrei dovuto guardare anche fuori dall’Italia, dove ci sono centri di ricerca specializzati nel mio campo di studio. E così nel 2013, spinta dalla curiosità di scoprire nuovi metodi di ricerca e dall’entusiasmo di conoscere nuovi luoghi e persone, ho presentato un progetto per una borsa di studio presso un centro di ricerca di Parigi e la candidatura ha avuto esito positivo. L’anno successivo sono rientrata in Italia per collaborare con le università di Venezia e di Milano. La vita del post-doc è impegnativa e a tratti stressante; quando si ottiene un contratto di ricerca è necessario già pensare al “dopo” perché si tratta sempre di contratti di breve durata (spesso anche solo di qualche mese) e quindi bisogna sempre lavorare su un doppio binario: fare ricerca per l’attuale progetto e prepararne di nuovi per le candidature successive. Così quando nel 2015 ho ottenuto una borsa di due anni all’Università di Bordeaux sono ripartita per la Francia e alla fine del lavoro, nel 2017, mi sono spostata nuovamente a Parigi.

Oltre alla famiglia ed agli amici, cosa ti è dispiaciuto lasciare quando hai preso la decisione di partire?

Quello che mi è dispiaciuto lasciare, oltre agli affetti, è la “dimensione di paese”, dove ci si saluta per strada e ci si conosce da sempre. Mi manca molto lo spirito di comunità, difficile da ritrovare in una città che ha le dimensioni di una capitale.

Come è stata accolta dalla famiglia questa tua decisione di partire?

La mia famiglia ha sempre appoggiato le mie scelte, lasciandomi libera di trovare la mia strada. Il mio girovagare ha coinvolto anche loro fin da quando mi sono trasferita a 19 anni a Venezia per l’università e, in seguito, a Perugia per la tesi di laurea specialistica e in giro per la Toscana, il Lazio e la Campania per le varie missioni di scavo. Sicuramente la partenza per l’estero a livello psicologico è stata più dura da accettare, ma hanno sempre sostenuto le mie scelte, anche se gravose dal punto di vista affettivo e complicate sotto l’aspetto organizzativo.

Quali emozioni e/o sensazioni hai provato dal in questo tuo passaggio dalla “piccola” Rovato all’immensità di Parigi? Ti è stato facile ambientarti?

Cambiare Paese, oltre allo scoglio iniziale della lingua, comporta una serie di sensazioni contrastanti: da un lato la libertà di potersi reinventare, dall’altro la consapevolezza che si deve ripartire da zero in un contesto del tutto nuovo. Inoltre, bisogna tenere conto che l’immensità di Parigi corrisponde anche alla concreta difficoltà di spostarsi, non per la mancanza dei mezzi, quanto per il tempo necessario per raggiungere luoghi diversi, anche perché spesso abitare in centro è insostenibile dal punto di vista economico.

In 7 anni lontano dalle tue origini, sicuramente il tuo bagaglio di ricordi ed emozioni si sarà arricchito. Qual è stato il tuo ricordo più significativo?

Il bagaglio di ricordi è davvero ricco. Forse dal punto di vista lavorativo una delle emozioni più grandi è stata il poter esporre i risultati della mia ricerca in una cornice quale il “Musée du Louvre”. Un altro ricordo molto forte è stato assistere di persona all’incendio della cattedrale di Notre Dame nel 2019. Mi trovavo per caso nelle vicinanze ed è stato uno spettacolo straziante e allo stesso tempo toccante: le persone si radunavano in gruppi per cantare, pregare o documentare ciò che stava accadendo al monumento per eccellenza della città, in quanto ad antichità e valore simbolico. Dal punto di vista personale, invece, porto con me le tante storie di persone che ho conosciuto, accomunate dal coraggio di aver lasciato la propria “comfort zone” per affrontare nuove sfide. È sempre un’esperienza arricchente e formativa il confronto con realtà e modi di pensare diversi.

Tra i tuoi ricordi difficili da dimenticare, sicuramente resterà impressa nella mente la data del 15 aprile 2019! Ripensando a questa data, quali sono le tue emozioni su quanto accaduto quel giorno?

Ricordo che mi trovavo poco distante, alla sede dell’ambasciata italiana a Parigi per un evento su Leonardo. Quando sono arrivata sul posto le fiamme avvolgevano già tutto il tetto della Chiesa. La gente si riversava sul lungo Senna per poter vedere quanto stava accadendo, mentre la polizia bloccava le strade attigue alla cattedrale. Molti gruppi si erano raccolti lungo le vie, nei pressi degli sbocchi che permettevano l’accesso al lungo Senna per pregare e cantare, anche se non era possibile vedere la chiesa da quei punti. L’importante era stare insieme. Notre Dame sorge su uno dei punti più antichi della città, dove sono conservati i resti dell’antica Lutetia, ed ha assistito lungo i secoli ad eventi storici importanti non solo per la storia della Francia, ma per la storia di tutta l’Europa. Ha visto incoronazioni ed è sopravvissuta a rivoluzioni. In quanto custode degli eventi passati e garante

di quelli futuri, vederla bruciare trasmetteva un senso di disgregazione e di perdita di una memoria collettiva, di un patrimonio appartenente a tutti.

Di cosa ti occupavi quando eri in Italia, e di cosa ti occupi oggi?

Quando ero in Italia mi occupavo di ricerca scientifica nel campo dell’archeologia e della storia antica. A questo affiancavo lo scavo, la catalogazione e lo studio di materiali archeologici, tutte attività complementari nel lavoro di un ricercatore. Oggi cerco di portare avanti queste attività attraverso alcune collaborazioni con centri di ricerca e musei, sia italiani che francesi, e continuo ad inviare candidature per ottenere finanziamenti per nuovi progetti. Allo stesso tempo, quando c’è la possibilità insegno italiano ai bambini francesi o in centri pedagogici che si occupano di dispensare corsi privati a adulti o faccio la guida per Parigi. Data la precarietà del lavoro da ricercatore, tocca essere multitasking! 

Com’è la situazione lavorativa in Francia, e come viene accolto uno “straniero” in cerca di lavoro?

Dal 2013 sto assistendo ad un progressivo calo di opportunità nel settore dei beni culturali anche nell’ambiente francese. Diminuiscono i posti disponibili nei concorsi, i dispositivi di finanziamento e, complice l’età che invece fa il percorso inverso, spesso alcune iniziative sono precluse dopo i 35 anni perché si presuppone che a quell’età una persona abbia già un posto fisso. In realtà nel settore del patrimonio culturale non è purtroppo quasi mai così. Tuttavia, la Francia, a differenza dell’Italia, bandisce concorsi pubblici ogni anno, magari con meno posti ma con la consapevolezza che esiste la possibilità di poter riprovare. In Italia invece spesso si ha una sola possibilità: non è permesso sbagliare, perché i concorsi ministeriali o degli enti di ricerca si tengono in modo del tutto aleatorio, a volte anche ogni dieci anni o più. Per esperienza i francesi sono abituati ad accogliere stranieri e sono bendisposti verso una comunità multiculturale. Hanno molto rispetto per la figura del “lavoratore”, che gode di uno status privilegiato rispetto a molti altri paesi europei, e apprezzano l’iniziativa e l’apporto di nuove competenze.

Quali progetti avevi quando sei partita, e quali sono i tuoi progetti futuri?

Quando sono partita volevo avere la possibilità di proseguire il mio lavoro di ricerca, con entusiasmo e determinazione. Per il futuro confesso che accarezzo ormai da tempo l’idea di rientrare, per poter far fruttare il bagaglio di esperienza acquisita in questi anni. Quando rientro mi dedico spesso alla storia locale. Mi piacerebbe un giorno poter istituire un museo del territorio, che racconti la storia e la cultura della Franciacorta. Un museo che non sia solo una vetrina, ma che sia un centro culturale attivo, che offra una serie di iniziative ad un largo pubblico e che sia in connessione anche con le istituzioni e il tessuto produttivo locali. Che rappresenti un luogo di scoperta delle proprie radici e di costruzione della propria identità per i nativi del luogo, e che sia allo stesso tempo accessibile a tutti i visitatori che vogliono approfondire la conoscenza del nostro territorio. 

Se decidessimo di trascorrere un week-end a Parigi, quali sono le mete obbligatorie e cosa non possiamo assolutamente perderci?

Tutti conoscono Parigi come la Ville Lumière, ma pochi sanno che un altro dei suoi “soprannomi” è Paname. Parigi offre talmente tanto che idealmente andrebbe visitata più volte. E ce n’è davvero per tutti i gusti. Per un week-end parigino consiglierei sicuramente una visita ai “grandi classici”, come i capolavori del Louvre, gli Impressionisti al Musée d’Orsay, la cattedrale di Notre Dame o una passeggiata sotto la Tour Eiffel. Parigi brulica di musei, anche piccoli, che sono dei veri e propri gioielli, come l’Orangerie, l’atelier di Monet trasformato in museo, che con le pareti ricoperte di ninfee offre una vera e propria esperienza immersiva. Anche il “Musée Carnavalet” merita moltissimo perché ripercorre tutta la storia di Parigi, sin dall’antica Lutetia, la città dei Galli Parisii. E poi ci sono luoghi incantevoli, fuori dai circuiti turistici, come il “Musée de la Vie Romantique”, un edificio del 1830, dove è possibile ammirare ancora gli arredi dell’epoca e gli oggetti appartenuti ad artisti letterati che frequentavano la casa, tra i quali anche Rossini. A Parigi è possibile ammirare l’originale in scala ridotta della Statua della Libertà, il cui vero nome è “La Libertà che illumina il mondo”. La statua che si trova a New York è infatti un’opera realizzata dai francesi Frédéric Auguste Bartholdi e dagli architetti Viollet Le Duc e Gustave Eiffel, padre dell’omonima torre, ed è stata donata alla fine dell’800 alla città di New York. Il modello della Statua della Libertà si trova all’Ile aux Cygnes a Parigi ed è orientata in direzione della gemella americana. Tuttavia, Parigi non è solo musei e monumenti. È una città da vivere e “respirare”, passeggiando tra le vie di Montmartre, del Marais o del quartiere latino, o sorseggiando un pastis in uno dei tanti caffè tipici.

Come è la vita di un franciacortino all’estero? Quali sono le principali differenze con l’Italia?

Un franciacortino cresce a mio avviso in un luogo privilegiato. La posizione della Franciacorta lungo importanti vie di comunicazione, il suo paesaggio variegato, la “dimensione umana” delle persone, il buon cibo e il buon vino! Devo dire che Bordeaux ha molti aspetti in comune con la Franciacorta e lì mi sono spesso sentita “a casa”. Sia a Bordeaux che a Parigi ho sempre trovato persone aperte e accoglienti.

Ripensando alla Franciacorta, quale luogo ti è rimasto nel cuore?

I luoghi sono tanti e sono sempre paesaggi associati a persone, che in un modo o nell’altro hanno avuto un ruolo importante nel mio percorso di crescita. Per questo preferisco chiamarle “istantanee di vita”, che mi ricordano episodi dell’infanzia o dell’adolescenza, come la campagna attorno a casa o il lago d’Iseo, le colline ricoperte di vigneti, il Monte Orfano, il Monastero di San Pietro in Lamosa con la vista sulle torbiere, tutti luoghi che ogni volta che torno cerco di imprimere bene nella mente per portarli con me.

E se potessi portare qualcosa di Parigi in Franciacorta, cosa porteresti? E dalla Franciacorta a Parigi?

Da Parigi porterei l’atmosfera multiculturale, il piacere di scoprire sempre nuovi “angoli”, anche in luoghi che credevo di conoscere, persone con esperienze di vita diverse e nuovi punti di vista. Dalla Franciacorta porterei senza dubbio il sole e il buon cibo, che sono tra le cose che, assieme agli affetti, mancano sempre.

Ad un anno dall’inizio della pandemia, come è stata gestita la situazione in Francia? Quali differenze con la gestione italiana?

Inizialmente la Francia, come gli altri paesi europei, ha preso spunto dalla gestione italiana. Dopo il primo confinamento dello scorso anno, durato sino agli inizi di giugno, si sono susseguiti altri periodi di confinamento con norme differenti a seconda della gravità della situazione. In generale il coprifuoco è sempre stato più stringente: fino a marzo nell’Ile de France era stato fissato alle 18, per poi passare alle 19 quando il confinamento è stato esteso a tutto il territorio francese. Tra gli esercizi di prima necessità sono compresi ad esempio anche i parrucchieri, che rimangono aperti. La differenza maggiore resta comunque l’apertura delle scuole, che non hanno mai chiuso da maggio 2020. Solo per una settimana in aprile 2021 gli studenti sono tornati alla didattica a distanza, per poi chiudere per le consuete due settimane di vacanza. La riapertura è dunque prevista per maggio. Un’altra differenza consiste nel tampone richiesto per recarsi da un Paese all’altro: la Francia richiede il PCR all’ingresso e non richiede quarantena, mentre per l’Italia è sufficiente l’antigenico, ma bisogna rispettare i 5 giorni di quarantena e rifare un tampone. In Francia la stanchezza per la situazione che si protrae da ormai molti mesi è generalizzata: i lavoratori, ai quali è stato imposto il “télétravail” ed è stato dunque vietato recarsi sul luogo di lavoro, reclamano a gran voce la possibilità di poter rientrare almeno un giorno alla settimana. Bisogna infatti considerare che gli appartamenti, più ci si avvicina al centro, più sono piccoli per via dei costi esuberanti degli affitti. Conosco alcune famiglie che vivono con bambini piccoli in una manciata di metri quadri, senza giardino o un pezzetto di verde. E il confinamento prolungato in ambienti del genere ha generato non pochi problemi. Serve tornare quanto prima, se non alla situazione precedente, almeno ad una pseudo-normalità.

Come sono ad oggi i tuoi rapporti con la Franciacorta? E, prima del Covid, ogni quanto tornavi nella tua terra d’origine?

Di solito cercavo di rientrare almeno qualche giorno ogni mese mezzo o due mesi, ma lo scorso anno sono rimasta bloccata a Parigi per sette mesi consecutivi perché le frontiere erano state chiuse. Anche dopo la riapertura a giugno, i mezzi di trasporto hanno impiegato molto ad essere ripristinati, tanto che spesso vengono ancora cancellati anche in periodo di non confinamento. Tanto per fare un esempio i voli su Linate hanno ripreso dopo un anno dall’inizio del primo confinamento, a fine marzo 2021, hanno funzionato per circa dieci giorni e sono di nuovo bloccati almeno fino a inizio giugno. Quindi quando si prenota un qualche viaggio si sa che probabilmente si andrà incontro a possibili cancellazioni. È inevitabile per un italiano all’estero sentire il bisogno di tornare con una certa frequenza a casa. La vicinanza geografica della Francia e l’abbondanza dei mezzi di trasporto hanno sempre permesso una certa flessibilità e soprattutto la possibilità di garantire i legami con gli affetti. La pandemia in atto ha stravolto completamente le prospettive e vivere all’estero rappresenta in questo momento una sfida superiore dal punto di vista personale. Una persona in confinamento in Francia o una Italia adotta accortezze contro il contagio dello stesso tipo. Si tratta quindi di un caso di tipo diverso rispetto ad un turista che si muove fra diversi stati per svago e quindi sarebbe auspicabile, evidentemente mantenendo le dovute precauzioni, semplificare per gli italiani all’estero le procedure per rientrare in Italia.

Vivi Franciacorta

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